martedì 6 dicembre 2022

Masanobu Fukuoka

 Masanobu Fukuoka nato nel 1913 ha lasciato la sua vita terrena nel 2008, all'età di 95 anni. E' stato il fondatore dell'agricoltura naturale oltre che scienziato, scrittore e filosofo.

Istruitosi come microbiologo in Giappone, ha iniziato la sua carriera come scienziato del suolo, specializzandosi nelle patologie delle piante.
A 25 anni cominciò a mettere in dubbio i preconcetti della scienza dell'agricoltura. Quindi, lasciò il suo posto come ricercatore scientifico, tornò nella fattoria della sua famiglia nella isola di Shikoku, per coltivare mandarini, iniziando a dedicare la sua vita allo sviluppo di un sistema di agricoltura naturale. L'obiettivo della sua ricerca è stato minimizzare il più possibile gli interventi dell'uomo, che si limita ad accompagnare un processo largamente gestito dalla Natura.

Fukuoka chiamò il suo metodo di agricoltura "agricoltura del non fare".
Il suo metodo di coltivazione non comprende aratura, fertilizzanti, pesticidi, diserbanti, potature e richiede davvero poco lavoro! Riesce a portare a termine tutto questo (con alte rese) attraverso un attento tempismo nelle semine e un’accurata combinazione di piante.

Gli ultimi anni della sua vita li ha impiegati tentando di risolvere il problema della desertificazione del mondo raggiungendo ottimi traguardi nella tecnica ma poca approvazione della governance mondiale.
In Giappone il metodo di Masanobu Fukuoka ha prodotto rendite per ettaro simili a quelli di tecniche che si avvalgano della chimica, ed è stato fatto molto per adattarlo alle condizioni europee, tra cui il contributo dei coltivatori francesi Marc Bonfils ed Hemilia Hazelip e dell'amico greco Panos Manikis.
Ha visitato due volte gli Stati Uniti nel 1979 e nel 1981, l'Europa nel 1981, la Somalia e l'Etiopia nel 1985, la Tanzania nel 1996, il Vietnam, la Thailandia, l'India e molti altri paesi.

Dagli scritti di Masanobu:

Le tecniche agricole moderne sembrano necessarie perchè l'equilibrio naturale dell'ecosistema è stato così profondamente alterato che la terra oggi non può più farne a meno.Questa logica non vale solo per l'agricoltura ma anche per altri aspetti della società. Allo stesso modo, i medici e la medicina diventano necessari quando la gente si costruisce un ambiente malato.

Prima della fine della guerra, quando andai all'agrumeto a mettere in pratica quella che allora credevo fosse agricoltura naturale, non feci alcuna potatura e lasciai il frutteto a sé stesso. I rami si aggrovigliarono fra loro, le piante furono attaccate dai parassiti e quasi un ettaro di mandarineto seccò e morì.


Da allora ebbi sempre in mente un interrogativo?: "Qual è la forma naturale?". Per arrivare alla risposta fui costretto a sacrificare altre 400 piante e finalmente oggi posso dire: "Il metodo naturale è questo". Devo ammettere di aver avuto la mia parte di insuccessi durante i quarant'anni che ho dedicato alla ricerca, ma adesso riesco a ottenere raccolti uguali o anche migliori, sotto ogni aspetto, rispetto a quelli coltivati in maniera convenzionale.

E cosa più importante: il mio metodo ha successo con una minimo apporto di lavoro e con costi decisamente ridotti, inoltre in nessun momento del processo di coltivazione c'è il più piccolo impiego di prodotti inquinanti, il tutto senza depauperare la fertilità del terreno.


Il metodo della "non-azione" è basato su quattro principi fondamentali:


1. Nessuna lavorazione, cioè niente aratura, né capovolgimento del terreno. Per secoli, i contadini hanno creduto che l'aratro fosse indispensabile per incrementare i raccolti. Eppure non lavorare la terra è di fondamentale importanza per l'agricoltura naturale. La terra si lavora da sé grazie all'azione di penetrazione delle radici e all'attività dei microrganismi e della microfauna del suolo.

2. Nessun concime chimico o compost. Ottuse pratiche agricole impoveriscono il suolo delle sue sostanze nutritive essenziali causando un progressivo esaurimento della fertilità naturale. Lasciato a se stesso, il suolo conserva naturalmente la propria fertilità, in accordo con il ciclo naturale della vita vegetale e animale.

3. Né diserbanti, né erpici. Le piante spontanee hanno un ruolo specifico nella fertilità del suolo e nell'equilibrio dell'ecosistema. Come norma fondamentale dovrebbero essere controllate (per esempio con una pacciamatura di paglia o la copertura con trifoglio bianco), non eliminate del tutto.

4. Nessun impiego di prodotti chimici. Dall'epoca in cui si svilupparono piante deboli per effetto di pratiche innaturali come l'aratura e la concimazione, le malattie e gli squilibri fra insetti divennero un grande problema in agricoltura. La natura, lascia fare, è in equilibrio perfetto. Insetti nocivi e agenti patogeni sono sempre presenti, ma non prendono mai il sopravvento fino al punto da rendere necessario l'uso di prodotti chimici. L'atteggiamento più sensato per il controllo delle malattie e degli insetti è avere delle colture vigorose in un ambiente sano.


Le palline d’argilla sono un sistema di spargimento dei semi inventato da Masanobu Fukuoka. Scopriamo insieme come realizzarle.

Le palline d’argilla sono una pratica inventata da Masanobu Fukuoka e rappresentano un modo veloce ed efficace di spargere i semi anche nei luoghi più impervi e difficili da rinverdire. Fukuoka ne consiglia il lancio anche dagli aerei nei luoghi aridi e molto ampi, come ad esempio le zone desertificate.


Per la preparazione delle palline d’argilla è necessario un cucchiaio colmo di semi ogni 5 chili di argilla, poi acqua quanto basta per ottenere un impasto omogeneo. Si selezionano semi diversi, possibilmente autoctoni, e si uniscono all’argilla in un secchio o in un contenitore capiente, mescolando bene.


Si amalgama il tutto con l’acqua, poi si porta l’impasto su comodi tavoli da lavoro; si formano quindi delle palline (ciascuna delle quali conterrà una certa quantità di semi che si saranno ben distribuiti), che poi vengono sistemate su un telo al sole per farle essiccare. Una volta asciugate, saranno pronte per essere sparse dove si vuole che attecchiscano i semi.

La rivoluzione del filo di paglia, pubblicato in Italia nel 1980, rappresenta un riassunto introduttivo della visione di Fukuoka, nota anche come pratica del “non fare”.

Fukuoka si era infatti reso conto che se nell’immediato il lavoro umano e la tecnologia potevano dare dei risultati in agricoltura, nel lungo periodo portavano a un impoverimento della terra riducendone la fertilità. In un terreno non fertile le piante si ammalano più facilmente e perdono le loro sostanze nutritive, rendendo necessario l’uso di fertilizzanti e di altre sostanze. Il cibo ottenuto da un terreno troppo lavorato è un cibo degradato. 









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